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REPUBBLICA - MERCOLEDi, 10 MARZO 2010

II Salento di Ozpetek luce, barocco e cibo. Dopo oltre dieci anni e cinque pellicole girate a Roma, il regista italo-turco racconta ora le nuove ispirazioni pugliesi e le location che hanno dato vita a ''Mine vaganti'', il suo ultimo film che uscira venerdi nelle sale italiane. La pietra bianca e porosa detta ''mazzaro'' riflette la luminosita di questa terra. La sequenza finale e una specie di ''saluto alla citta'', una carrellata dei posti piu belli. Ci voleva giusto il Salento perchè Ferzan Ozpetek abbandonasse il gazometro, onnipresente nei suoi film. Dopo oltre dieci anni, e cinque film girati a Roma, il regista italo-turco e andato a cercare nuove ispirazioni e scenografie in Puglia, dove ha ambientato Mine vaganti, da venerdi nelle sale. «I primi giorni di riprese senza gazometro - sta al gioco Ozpetek - mi sono sentito molto smarrito. E' stata come la fine di un matrimonio, quando perdi la testa per un'altra donna e vai via di casa senza sapere come andra a finire: emozione e paura sono i due sentimenti che provi. Poi e stato meraviglioso. La Puglia e stata una folgorazione. I luoghi possono essere bellissimi, ma senza le persone giuste non funzionano e i pugliesi mi hanno conquistato. Quando giri in un posto, devi saper ascoltare la città e i suggerimenti che le ''fate'' del film ti mandano». Mine vaganti e anche il primo film in assoluto girato interamente a Lecce, che pure è un set naturale grazie alle facciate dei suoi magnifici palazzi barocchi la cui pietra bianca e porosa, detta qui mazzaro, riflette la luce speciale del Salento. «Dovunque tu metta la cinepresa a Lecce - afferma il regista - e una bella inquadratura». Ma Ozpetek ha avuto il merito di non abusare delle cartoline che Lecce offre, se non in un'affettuosa panoramica finale delle zone piu conosciute a partire da Porta Rudiae in via Palmieri. Si è andato a scovare preziosi angoli nascosti, in qualche caso trasformandoli. Ad esempio la piazzetta Carducci, magicamente allestita per una scena notturna (il litigio tra i fratelli Riccardo Scamarcio e Alessandro Preziosi: «Ho suggerito al sindaco di lasciare la nostra illuminazione in quella piazza. Un regista pugliese forse avrebbe evitato del tutto di inquadrare il Duomo o qualche altro posto piu noto, ma a me piacevano molto e la sequenza finale e una specie di saluto alia citta, non uno spot». La voglia di Ozpetek di cambiare aria e coincisa con quella della Puglia di esportare la propria, di aria. L'Apulia Film Commission dal 2007 ha ospitato un centinaio di produzioni erogando l'anno scorso circa un milione di euro di contributi: per ogni euro finanziato, il ritorno sui territorio e di 9 euro, che salgono a 15 nel caso di film, come questa prodotto da Fandango e Rai, dal budget più importante. Gli interni della casa della famiglia Cantone sono stati girati a Villa Materdomini sulla strada verso Monteroni, una dimora vuota completamente arredata dagli scenografi, mentre i numerosi esterni sono quelli di Casa Famularo nel centro di Lecce in via Paladini. Un palazzetto del Cinquecento con una superba terrazza che affaccia sul giardino privato sovrastato da un monumentale esemplare di ficus magnolioide: un'atmosfera nobile e un po'decadente molto suggestiva. La casa di Nicole Grimaudo e stata localizzata in un'ala disabitata di Palazzo Tamborino, dov'è l'atelier del pittore Marco Fiorillo che ha dipinto i quadri di scena. Piazza Sant'Oronzo, cuore della vita leccese, si intravede solo nella scena in cui padre (Ennio Fantastichini) e figlio (Scamarcio) vanno a sedersi al bar, il Caffè Tito Schipa di via dei Fedele. Ozpetek, nei cui film il cibo ha sempre un rilevante valore estetico e narrativo, ha tratto ispirazione dai manufatti della panetteria Valentina, mentre Ie scene del pastificio Cantone sono state girate nell'azienda Pedone sulla Lecce-Maglie. La scena iniziale e stata realizzata nella Masseria Ceppano, nell'agro di Otranto, un rudere tra gli ulivi che appartiene alla Regione, e l'unica scena di mare e stata ambientata a Punta della Suina a sud di Gallipoli, pineta e acqua cristallina. Con tutto il rispetto per il gazometro dell'Ostiense.

Link: http://www.apuliafilmcommission.it/cms-upload/repba1003.pdf
Emilio Marrese


Collettiva Raphael Art Gallery, Carrousel du Louvre, Parigi 2008

Oggigiorno è veramente difficile confrontarsi con i giovani artisti sempre più pervasi dalla moda dell’arte, per intenderci quelli che sembrano delle opere colorate su due gambe che camminano, oppure quelli che cercano la denuncia a tutti i costi con il risultato di scimmiottarsi l’un l’altro, finendo poi per omologarsi e sembrare tutti uguali. Marco Fiorillo è un giovane artista talentuoso, senza eccessi, senza capelli colorati, molto serio e ricercatore instancabile della sua arte, ispirato si, ma mai uguale a nessuno. Confrontarsi con lui viene molto più facile, perché fa della sua esperienza il punto di partenza per poter affrontare il quotidiano richiamo al proprio sentimento artistico. Restauratore professionista, e artista da sempre, Fiorillo ha saputo unire le due esperienze, e nel suo studio riesce non solo a ridare vita ad opere di famosi artisti a volte dimenticati, conservati malissimo dal tempo, ma riesce a mettere soprattutto a servizio la sua bravura per la grande passione, riversando, dopo moltissima osservazione e studio, in ogni opera, i trucchi del mestiere dei maestri del passato che finiscono sotto la sua lampada di Wood. Appassionato della scuola napoletana, nel tempo è riuscito a cogliere gli aspetti prospettici più belli di questa corrente inserendoli in contesti nuovi, per esempio un paesaggio costaricano o l’interno di un bar, caricando i colori e donando così contrasti unici per eleganza e continuità espressiva. Fiorillo è riuscito con gli anni a rendersi indipendente dalla pittura accademica, uscendo dagli schemi classici delle dimensioni, dando valore egli stesso alle superfici vuote, riempiendole con le sinuose forme delle muse ispiratrici, o dei paesaggi che in un determinato momento si trova dinanzi agli occhi, senza mai modificare e perfezionare le naturali proporzioni/sproporzioni, lasciando intatte le imperfette perfezioni che la natura ci dona. La pittura di Marco Fiorillo è pervasa dal sentimento che egli stesso porta dentro. Ogni tocco, ogni pennellata, parla di lui e di quello che ha visto e vissuto. Riesce a cogliere attimi ed istantanee che rende eterni sulla tela, non come semplici fotografie, ma come visioni cariche di ricordi e significati, ben oltre i colori e le forme che ci regala.

Link: http://www.lucarenna.com/2008/12/12/marco-tommaso-fiorillo/
Luca Renna


''La poetica del paesaggio'' Nature morte e nudi carnosi su tavola e pastelli

Il primo a parlarci di Marco Tommaso Fiorillo (Lecce, 1974) fu diversi anni or sono Enzo Guido,quel nostro vecchio amico protagonista, insieme a chi scrive e a Riccardo Leuzzi, di alcune iniziative promosse e svoltesi nel nome di Luigi Carluccio,il compianto critico di origini salentine, personaggio emblematico nella storia dell’arte contemporanea italiana. E pur se legato al giovanissimo artista (quel particolare rapporto che esiste tra nonno e nipote),le sue parole erano quanto mai pesate e il suo coinvolgimento quanto mai parco. Più esplicito,invece,l’amicale invito a guardare le opere. Cosa che in realtà è poi accaduta, in modo pressoché sistematico e continuativo, un anno dopo l’altro, e dal 1995 in appuntamenti personali e collettivi ,in gran parte nella storica Galleria «Maccagnani» di Lecce, seguendo il giovanissimo pittore in un percorso decisamente figurativo -paesaggistico, nella sua quasi totalità-,ricco di atmosfere e di riferimenti, e realizzato secondo chiare competenze e capacità tecniche. Scrivendone su queste stesse colonne nel gennaio di tre anni fa, affermando: “ Marco Tommaso Fiorillo” si muove lungo ” la saga “ meridionale di quel paesaggio che non ha mai rinnegato le sue origini napoletane - rimanendone , anzi, particolarmente coinvolto - , fermando il suo sguardo su ampie “vedute” elaborate tenendo bene a mente – e proprio questa ci appare la sua intuizione più personale – l’impianto della pittura naturalistica toscana, in una sorta di mix che accentua la rarefazione e la poesia del soggetto dipinto “ . E nel tempo, il lavoro del poco meno che trentenne artista talentino ha confermato quella sua personale capacità narrativa ( le immagini di un Salento che ci appartiene, ma anche altro: la campagna di leveranno e la fiorentina Via Torta, la costa dopo Otranto e la marina di Castro, per non parlare delle nature morte e dei nudi), affrontando così una molteplicità di temi. E avvalendosi di quell’ esercizio culturale e visivo che da tempo lo vede impegnato sui dipinti antichi quale restauratore, in un intersecarsi di frequenze che vanno dall’Opificio delle Pietre Dure di Firenze a numerosi laboratori di restauro privati e pubblici, all’Università Internazionale dell’Arte di Firenze, al corso di laurea in Conservazione di Beni Culturali presso l’Università degli Studi di Lecce. Come ben dimostrano i sui paesaggi ( sovente olii su tavola e pastelli), trattati e risolti secondo un impianto compositivo particolarmente sintetico su cui il cromatismo declina quella sua duplice appartenenza all’ attualità e ricordo, talvolta rasentando anche l’eccesso – lo avevamo già scritto in altra occasione - , come in questi squarci di colore arancio che attraversano cieli regolarmente cerulei. Ma anche le costruzioni di alcune nature morte e la carnosità essenziale dei nudi impaginati ed immersi in una bianca distesa di lenzuola disfatte. Quasi a voler andare oltre l’immagine per sconfinare nell’emozione e nella fantasia.

Toti Carpentieri N°61 Venerdì 24 ottobre 2003 - Gazzetta del Mezzogiorno.


La propria epoca confrontata con il passato

Poeti e pittori hanno fatto a gara, specie nell’età moderna, nell’offrire una efficace rappresentazione del paesaggio. A volte è prevalso il quadro d’insieme, vasto, panoramico, altre volte ci si è soffermati su alcuni particolari. Nella trasformazione determinata dall’industria spesso si è insistito nel rappresentare la campagna e i suoi abitanti come modello esemplare di vita contrapposto alla dimensione inospitale e alienante delle nuove città. Se consideriamo la produzione letteraria ed artistica italiana del Settecento e dell’Ottocento, notiamo che mentre permangono i canoni tradizionali nella descrizione della natura, si tentano vie nuove libere dai vincoli della convenzionalità. Così, pur rispettando regole relative alla distribuzione degli spazi e pur presentando scorci reali,si inseriscono elementi che esprimono la concezione del vivere e del morire dell’artista come il ricorso ad immagini riprese dal gusto per le rovine per comunicare il senso della fragilità umana. Nel paesaggio fa irruzione la lettura che l’artista dà della propria epoca confrontata con il passato, contemplato in alcuna opera con nostalgia e rimpianto. Al di là degli angoli di visuale e delle interpretazioni il paesaggio è sempre un luogo della mente, è il distillato di ciò che si custodisce nella memoria, dei valori per i quali viviamo, dei tormenti nascosti nell’animo, delle speranze che coltiviamo. Anche quando la visione, attraverso l’analisi minuziosa , si avvicina di più alla realtà non è pura descrizione geografica, ma intreccio di ricordi, di sentimenti, sedimentazione di esperienze personali e di vicende storiche e culturali. Tutto ciò non sorprende perché “il vedere” dell’uomo esprime la sua struttura, il suo spirito che è la capacità di conoscenza disinteressata e desiderio d’infinito. Novembre 2007

Lilia Fiorillo


Anima ''neo-romantica''

Sulla padronanza nel controllo del mezzo tecnico della pittura ad olio ( ma anche non solo quella) da parte , innanzitutto dell’ amico, poi dell’artista marco Fiorillo, ho in più occasioni avuto modo di dimostrarlo; sulla capacità di rivelare l’ineffabile possanza nella determinazione di una mappatura cromatica all’interno delle sue produzioni estetiche, a lungo mi sono soffermato in aperti dialoghi con lo stesso; ho scritto in diverse recensioni l’anima “neo-romantica” che contraddistingue l’operato di questo artista… ma in codesta occasione , vorrei rendergli un omaggio che nasce dalle nostre consuete frequentazioni nel suo studio , tra una rapida pennellata e qualche scherzosa battuta amicale, attraverso lunghe “camminate” per le vie della città, nei Caffè, discorrendo d’arte, tra una sigaretta e l’altra, in un piacevole “intervallo” determinato dall’incontro con qualche comune amico, dove l’amicizia, già sbocciata, andava consolidandosi. Il mio piccolo “dono” consta in un aneddoto a lui sconosciuto, non rivelatogli volutamente perché un giorno potesse suscitare una giusta sorpresa, caro, a chi scrive in quest’ istante perché riporta alla mente le , lunghe passeggiavate “discorsive” con il Maestro Antonio Massari. Ebbene, in uno di questi miei incontri con il Maestro, l’oggetto delle nostre conversazioni cadde su un giovane artista che lo aveva colpitoin una mostra che era andato a vedere presso la Galleria Maccagnani: la “scena “ si svolge in Corso Vittorio Emanuele II . Ciò che suscitava stupore in Massari , era l’impossibilità di poter valutare l’esito di di uno stile pittorico di una ricerca estetica che proponeva delle nuances legate sia alle nature morte pre-cézanniane, sia sia i forti rimandi ad un romanticismo tedesco e inglese, alle soglie del Terzo Millennio. Chiesi il nome dell’artista. MARCO TOMMASO FIORILLO ( Dissi a Massari che era un mio carissimo amico!). La mia tesi, fortemente, alla fine, sorretta anche dal Maestro, era che Marco, fosse mosso non tanto da intenti anacronistici, anche perché l’originalità di certi spunti era più che visibile, ma che sicuramente si sarebbe posto nel nuovo secolo, in un probabile processo “Movimentale/Avanguardistico” di ristrutturazione del figurativo, in un primo momento, e che si sarebbe poi allargato anche su piani di neo-informalismo. Penso che sia un buon augurio…

Stefano Donno 1999


Recensione

L’artista dimostra una non comune perizia nel controllo del mezzo tecnica della pittura ad olio. C’è un verismo localistico nei quadri che contempla la campagna e il paesaggio urbano di una Puglia immobile nel tempo: le città “bianche” , il casale sorvegliato da un altrettanto solitario pino ad ombrello, l’aridità sassosa di una via carrabile sotto un cielo aperto e mutevole. C’è poi un verismo “citazionista” che richiama le antiche suggestioni della pittura attraverso nature pre-cézanniane, anch’esse fissate in un tempo senza svolgimenti. Settembre 1995

Domenico Pupilli




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